venerdì 20 marzo 2020

La risorsa idrica e la sua gestione

L'acqua è una risorsa estremamente abbondante sulla Terra[, ma la gran parte di essa non è immediatamente disponibile per gli usi umani. Dell'acqua presente negli oceani e nelle acque superficiali, una piccola parte è messa in moto dall'energia solare attraverso l'evaporazione e partecipa al ciclo dell'acqua, precipitando nuovamente al suolo. La gran parte di quest'ultima aliquota non costituisce risorsa idrica in quanto evapora nuovamente dal suolo o è intercettata dalla vegetazione, oppure defluisce verso il mare in breve tempo e non è dunque disponibile con continuità nell'anno. L'acqua precipitata al suolo che è immagazzinata in strati di terreni permeabili, i quali ne rallentano il deflusso verso il mare, rappresenta invece la risorsa idrica, potenzialmente accessibile con continuità per gli usi antropici. Tale quantità è per l'Italia il 7% delle precipitazioni, e si distingue in risorsa disponibile (2,5%) cioè quella che affiora spontaneamente in sorgenti e dà vita ai corsi d'acqua, e risorsa potenziale (4,5%) che resta in falda ed è potenzialmente emungibile mediante pozzi. Gli utilizzi della risorsa variano molto da un Paese all'altro in relazione alle attività produttive prevalenti. Per l'Italia gli utilizzi principali sono quello irriguo (45%), industriale (20%), energetico (15%) e ovviamente quello idropotabile (20%), cioè l'acqua utilizzata per gli usi domestici. Il fabbisogno idropotabile, valutabile in media in circa 200 litri al giorno per persona, è comprensivo di consumo umano (10%), igiene personale (30%), scarico del WC (30%) e altri usi domestici (30%), quali lavastoviglie, lavatrice, innaffiamento giardini, ecc. 

L'evoluzione della gestione della risorsa idrica 
È un dato storico noto che i primi insediamenti umani siano sorti in prossimità delle sorgenti di acqua e dei fiumi, e le prime civiltà organizzate siano nate attorno ai fiumi essenzialmente per l'esigenza di organizzare collettivamente la gestione della risorsa idrica: così in Mesopotamia, Egitto, India, per la necessità di canalizzazione delle acque fluviali. La costruzione di acquedotti a gravità, introdotti in Europa dai Romani, ha permesso di allontanare l'insediamento urbano dalle fonti primarie di acque. L'acqua veniva trasportata attraverso canali a pelo libero e convogliata in cisterne dalle quali veniva sollevata manualmente, con secchi o pompe idrauliche avviate a braccia; gli acquedotti di questo tipo sono rimasti in esercizio fino al XIX secolo. Lo sviluppo della metallurgia nel XIX secolo ha permesso la realizzazione di acquedotti in pressione, che convogliano l'acqua all'interno di condotti chiusi, conservandone l'energia potenziale gravitazionale sotto forma di pressione e consentendo così di portare l'acqua anche in salita e quindi fino a casa propria. Ciò rappresenta un miglioramento anche dal punto di vista igienico, in quanto il sistema precedente poteva determinare facilmente la contaminazione delle acque addotte con le acque reflue. Naturalmente, la realizzazione di acquedotti in pressione poteva avvenire soltanto grazie ai finanziamenti di grandi investitori privati (ad es. banche), e pertanto i primi acquedotti furono realizzati nei grandi centri urbani, in cui era prevedibile il ritorno dell'investimento, come ad esempio nella città di Londra dove l'acquedotto in pressione fu realizzato nel 1854. Negli anni trenta del XX secolo, tuttavia, si è diffusa la coscienza dell'importanza strategica della risorsa idrica e la proprietà delle acque è diventata pubblica. Parimenti, negli stessi anni, si è diffusa la coscienza della necessità di garantire l'accesso universale al servizio idrico, per motivi igienici e umanitari, con l'obiettivo cioè di portare l'acqua in tutte le case, cosa che il mercato da solo non è in grado di realizzare, in quanto il costo iniziale dell'infrastruttura è molto alto e il prezzo che l'investitore dovrebbe imporre per rientrare dall'investimento fatto non incontrerebbe la disponibilità a pagare dei potenziali utenti, per i quali risulterebbe più conveniente economicamente raggiungere a piedi la fonte d'acqua. Ai costi dell'infrastruttura, si aggiungono poi i costi di esercizio dovuti alla manutenzione, all'energia spesa per il sollevamento e l'allontanamento dei reflui e alla necessaria depurazione, costi che in molti contesti non urbani non erano sostenibili. In Europa, si è potuto quasi portare a termine, nel corso degli ultimi cinquant'anni, l'obiettivo dell'allacciamento di tutta popolazione alla rete idrica, soltanto grazie all'intervento di capitali statali, nonché grazie al contributo del Piano Marshall nel secondo dopoguerra. 
Nei Paesi in via di sviluppo, in mancanza di risorse economiche pubbliche, la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo finanzia progetti per infrastrutture idriche avendo come vincolo economico il rientro del capitale investito attraverso la loro gestione. Questi investimenti risultano spesso fallimentari, dato che in questi Paesi la gran parte della popolazione non può pagare le tariffe previste e l'infrastruttura realizzata risulta accessibile soltanto ai più ricchi, incontrando sovente le proteste di parte della popolazione. Diversi movimenti nella società civile di questi Paesi rivendicano il diritto all'acqua come uno dei fondamentali diritti umani, rivolgendosi contro le compagnie private, come le francesi Vivendi, Suez e Saur o la tedesca Rwe/Thames water. Un esempio è quanto avvenuto in Bolivia, dove nel 1999 la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo impose la privatizzazione della rete idrica alla città di Cochabamba come condizione per un prestito di 25 milioni di dollari. La conseguenza della privatizzazione è stata un aumento delle tariffe fino al 400%, con un'incidenza sul salario medio di un boliviano del 20%. Questa situazione ha portato nel 2000 a violenti scontri di piazza e alla ripubblicizzazione del servizio idrico nazionale. Parimenti, non sono mancate le personalità di rilievo che hanno prospettato la necessità di un nuovo Piano Marshall per finanziare con capitale pubblico l'infrastrutturazione nei Paesi in via di sviluppo. La realizzazione di questo obiettivo, che richiederebbe un maggiore sforzo economico da parte dei Paesi ricchi, incontra ostacoli da parte di analoghi movimenti della società civile in questi Paesi, che lottano per ottenere la gratuità del servizio idrico integrato a casa propria.

Per un preventivo di un trattamento dell'acqua ad uso domestico: mscapolan@gmail.com

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